RECENSIONE - Napoli: luoghi letterari (Chiaia Magazine)


    Autore
  • Redazione

  • Note
  • Recensione di:
    Giacomo Garzya
    su Chiaia Magazine
    di Gennaio/Febbraio 2014

    La scheda del libro



RECENSIONE - Napoli: luoghi letterari (Chiaia Magazine)


 

«Aurora Cacopardo è stata una valente docente di materie letterarie nei Licei ed è una colta, sensibile, acuta  critica letteraria napoletana, che ho avuto modo di apprezzare personalmente negli ultimi anni leggendo le sue recensioni agli ultimi miei libri di poesie. Ella ha infatti dato ottima prova di sé  collaborando con riviste e giornali come il Roma, Il Cerchio e Chiaia Magazine, un periodico questo di grande importanza civile, sociale e culturale non solo per il quartiere Chiaia, ma per Napoli tutta.
Francesco D’Episcopo, autore di numerosi volumi e saggi sulla Letteratura italiana, insegna questa materia alla Federico II ed è un critico letterario, con al suo attivo vari riconoscimenti ufficiali alla sua pluridecennale attività. Il libro che si presenta ora, riguarda quattro autori, che hanno lasciato una traccia profonda nella cultura napoletana, pur con esiti diversi: Carlo Bernari, Luigi Incoronato, Domenico Starnone ed Erri De Luca (nella foto), i primi due, avendo avuto una fortuna non proporzionata al loro effettivo valore. Gli ultimi due, a noi contemporanei, depositari di numerosi riconoscimenti sia da parte della critica che dal pubblico di lettori. La scelta di Cacopardo e D’Episcopo di analizzare l’opera di questi quattro autori, tuttavia non prescinde dal voler mettere in evidenza i luoghi i cui si svolgono le storie e lo stesso narrare: via Speranzella, Scala a San Potito, via Gemito, Monte di Dio. La Napoli, qui raccontata, è una Napoli fatta di eroi e antieroi, penso, in particolare, da una parte, al ragazzino protagonista in “Montedidio”, dall’altra, all’anonimo protagonista, con Giovanni, in “Scala a San Potito”, ma anche una Napoli disperata nella sua miseria, lontana anni luce dalle rappresentazioni festose di certa ben nota letteratura. Il colore della miseria, della solitudine, che prevale in molti passi di queste opere e  nei suoi personaggi è il grigio, un grigio che dà poco spazio alla speranza, se si escludono le avventure salvifiche nel racconto di Erri De Luca.  
In “Napoli: luoghi letterari” Aurora Cacopardo tratta in primis della figura letteraria e artistica di Carlo Bernari, un autore di spessore, che Domenico Rea non esitava a proclamare, nel 1958, come “l’unico scrittore napoletano degno di questo nome” e che avrà una vita spesa tra giornalismo, riviste letterarie e sceneggiature cinematografiche. Ebbene Carlo Bernari, autodidatta, come non pochi scrittori negli anni ’20 e ’30, antifascista, frequentatore delle idee crociane, nonché, durante un breve soggiorno a Parigi, di André Breton, padre del Surrealismo, produsse nel 1934 il suo primo romanzo “Tre operai” in una collana diretta da Cesare Zavattini, che non ebbe che poco pubblico, anche se una buona critica. “Tre operai” rappresenta il manifesto sociale dello scrittore, che preannuncia un lavoro di scavo ventennale sulla sua città, che si condenserà in due volumi, la “Bibbia napoletana” - considerato uno dei libri più affascinanti non solo su Napoli ma “di Napoli” - e “Speranzella”, il suo capolavoro, uscito nel 1949 e vincitore ex aequo del Premio Viareggio, con buon successo, questa volta, di lettori e di critica. La Cacopardo, dopo aver ben disegnato la biografia di Bernari senza nascondere l’astio che nei suoi confronti aveva avuto Elio Vittorini, come è noto, intellettuale organico del Partito comunista e quindi diffidente nei confronti di chi conservava una propria libertà di scelta e di giudizio, si ferma a parlare a lungo del romanzo “Speranzella”, ambientato nella Napoli a cavallo del ben noto Referendum Monarchia-Repubblica. Questa disamina critica si sofferma sui punti principali dello spirito narrativo di Bernari, nonché sulla sua tecnica narrativa e sull’uso del dialetto, sulla scia dell’esperienza di Verga e di Alvaro, senza dimenticare la lezione di Di Giacomo, Viviani, Murolo, per non parlare del Cortese, del Basile, del Velardiniello. Importante è la considerazione della Cacopardo, quando dice che “i personaggi di Bernari…non cadono mai nel bozzetto, perché lo scrittore vi trasferisce con naturalezza l’elemento storico-documentario”, cioè fa un lavoro di scandaglio di natura storicistica, nella migliore tradizione crociana. L’analisi di Carlo Bernari di Aurora Cacopardo si conclude, in modo analogo, con analogo metodo, nella trattazione della vita e dell’opera di Erri De Luca, alla luce, in particolare del racconto “Montedidio”, dove, anche se in modo molto diverso, lo scrittore mette in luce la sua visione di Napoli rapportata al sogno salvifico del volo a Gerusalemme di Rafaniello, ebreo errante, che trova rifugio nella Napoli devastata dalla guerra, dalla fame e dalla miseria, una Napoli europea nella sofferenza per dirla con Curzio Malaparte. Aurora Cacopardo felicemente conclude il suo itinerario critico dicendo che Erri De Luca “riesce, spesso, a scavare in profondità con risoluta delicatezza”, trattando “così il comico, il tragico, la ricerca del sacro”, senza perdere, aggiungo io, la sua vena poetica e fantastica. Francesco D’Episcopo, da parte sua, analizza l’opera di Domenico Starnone e del meno fortunato Luigi Incoronato. Meno fortunato se si considera il tragico epilogo della sua vita, che, leggendo il suo racconto “Scala a San Potito”, può dirsi già in nuce tanti anni prima. Studioso di Incoronato, D’Episcopo ne tratteggia pienamente la biografia, elemento primo di ogni analisi successiva, sottolineando l’anno 1960, in cui non solo vince il Premio Napoli con il romanzo “Il Governatore”, ma fonda la rivista “Le ragioni narrative”, insieme a scrittori come Compagnone, Pomilio, Prisco e Rea, nonché accademici come Battaglia e Pacini Savoj. La notorietà di Incoronato nasce, tuttavia, nel 1950 con “Scala a San Potito”, edito da Mondadori, emblema della precarietà, delle gravi difficoltà di sopravvivenza che il popolo napoletano incontrò nel dopoguerra. D’Episcopo, analizzando “Scala a San Potito” nota acutamente che l’anonimo protagonista del racconto si identifica, nella sostanza, con l’autore stesso, il quale “sente… lo strano bisogno di tornare…sulle scale, che avevano ospitato una stagione straordinaria della sua vita, legata all’amicizia  con l’altro personaggio centrale…Giovanni”, tragicamente ucciso da se stesso e dalla sua disgraziata vita. Non è il caso di entrare nella trama del racconto e la stessa cosa vale per “Via Gemito” di Starnone, per invitarvi alla lettura di “Napoli: luoghi letterari” che fa una lucida sintesi e invoglia a leggere questi autori, di cui si possono ora reperire i titoli in libreria. Tale sorte non è quella di Bernari, che costringe i lettori a recarsi in Biblioteca, il che farebbe pensare come ottima cosa la ristampa da parte di qualche buon editore almeno di “Speranzella”».
 

Giacomo Garzya
su Chiaia Magazine
di Gennaio/Febbraio 2014